Tralasciando le nostre personali opinioni in merito all'attuale crisi governativa, non si può che essere tutti d'accordo che il nostro Paese è attanagliato non solo da una crisi sociale ed economica...altro...Tralasciando le nostre personali opinioni in merito all'attuale crisi governativa, non si può che essere tutti d'accordo che il nostro Paese è attanagliato non solo da una crisi sociale ed economica a seguito della pandemia, ma anche, e direi gravemente, da una crisi della "politica".
Lo spettacolo al quale stiamo assistendo da circa un mese sancisce che oggi (in realtà da tempo) la politica è stata sostituita dall’ininterrotta propaganda ai talk show e dalle battaglie a colpi di tweet dei politici e da un approccio sempre più rivolto (e fomentato) al fenomeno che, nel lessico comune, è definito genericamente "trasformismo", che per i rappresentanti eletti che lo adottano, è eticamente e ideologicamente positivo, in quanto segno della loro capacità di liberarsi di pregiudizi e adeguarsi alle situazioni concrete.
Il primo "trasformismo" del Depretis si riferiva, come dichiarato nel discorso a Stradella nel 1876, alla "feconda trasformazione" dei partiti liberali per accogliere "le idee buone, le vere utili esperienze" provenienti dagli avversari, mentre dal 1882 si tramutò nella "teoria dell’amalgama", e cioè nel non respingere coloro che volessero "trasformarsi e diventare progressisti", scenario che il Crispi definì brutalmente un “incesto parlamentare”.
Se sostituissimo la parola "progressisti" usata dal Depretis con "voltaggabana" o "responsabili" ovvero "costruttori", termine oggi più di moda, avremmo la cristallina evidenza che da e in diverse legislature del nuovo millennio l’auspicio del Depretis è stato ampiamente realizzato: secondo un autorevole osservatorio politico, infatti, solo nel periodo fra il 2013 e il 2018 (governi Letta, Renzi e Gentiloni) sono stati registrati 569 passaggi di gruppo, anche multipli, da parte di 348 parlamentari!
Seppur per l'art. 67 della Costituzione, ogni membro del parlamento è rappresentante della Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, la verità è che tale dettato, “rispettato” fino al 1994 (i cambi di gruppo parlamentare della c.d. Prima Repubblica sono stati davvero pochissimi!), da qualche decennio è stato “interpretato” da parte di alcuni nostri parlamentari come il libero arbitrio alle convenienze personali, che non sempre corrispondono però a quelle collettive.
Nello spirito dei padri costituenti, il divieto del mandato imperativo era controbilanciato dalla sanzione che la dottrina della rappresentanza elettiva individua nella “non rielezione del parlamentare” da parte del corpo elettorale, unica possibile e fattibile censura al comportamento del parlamentare rispetto alle promesse effettuate durante le precedenti elezioni: tale sanzione, però, è pià di facciata che sostanziale grazie a una legge elettorale che nei fatti permette alle segreterie dei partiti la nomina dei parlamentari più che la loro elezione da parte dei cittadini.
La cruda realtà è che oggi, come negli anni del Depretis, il compito storico dei partiti è per molti aspetti esaurito: la destra, il centro e la sinistra non differiscono molto negli scopi, ma nelle ricette per perseguire l’acquisizione del consenso purtroppo sempre più di breve termine (stando l’ossessiva attenzione quotidiana ai sondaggi) anziché nella competizione su un’impegnativa progettazione socio-economica del nostro Paese con capacità e lungimiranza (stando l’incapacità della politica di attrarre persone provenienti da altre esperienze) per il lungo termine.
In uno scenario dove, come affermato da Ernesto Galli della Loggia, il trasformismo sembra essere diventato “il vero principio costitutivo del sistema italiano”, la recente nascita dei partiti caratterizzati da un basso radicamento sociale e deboli strutture locali, la volatilità dell’elettorato, l’assenza di programmi e progetti, e una politica sbandierata in un deserto di idee sono le caratteristiche peculiari di quella che Sabino Cassese definisce “una politica sempre più corsara”.
L’unica possibilità di evitare che la politica “alla corsa” si trasformi prima o poi in una politica “piratesca”, posta l’impossibilità di scardinare il divieto del mandato imperativo (principio presente nella maggior parte degli ordinamenti europei - a parte il Portogallo, dove i “costruttori” sono costretti a rinunciare al proprio seggio - e quindi difeso dai parlamentari nazionali fino all’estremo sacrificio), risiede nei regolamenti parlamentari e nello specifico nella disciplina dei gruppi.
L’esperienza di alcuni Paesi Europei evidenzia che la mobilità parlamentare può essere limitata semplicemente con regole più stringenti senza ripudiare il libero mandato: nel dicembre 2017, il Senato della Repubblica ha riformato il proprio regolamento prevedendo una corrispondenza tra gruppi parlamentari e liste elettorali (come in Spagna e Germania): i partiti che si sono presentati sotto un unico simbolo non possono costituire gruppi separati e pertanto i gruppi e le liste elettorali devono coincidere.
L’esperienza di questi giorni, così come la nascita di un nuovo gruppo parlamentare subito dopo la nascita del governo attualmente dimissionario, ha però dimostrato che il criterio numerico (20 deputati o 10 senatori) e quello politico delle liste elettorali è facilmente aggirabile con il prestito dei simboli elettorali o addirittura di singoli parlamentari per dar vita a realtà politiche sconosciute agli elettori (530 parlamentari su 945 rappresenta più del 50%!).
Tutte le forze politiche parlamentari devono pertanto impegnarsi a modificare quanto prima i regolamenti del Parlamento in modo tale che il criterio numerico e quello politico permettano la costituzione di gruppi solo qualora i parlamentari: a) appartengano alla lista elettorale con la quale sono stati candidati alle elezioni (come in Austria, Germania, Norvegia e Svizzera), b) abbiano sottoscritto una dichiarazione politica comune (come in Francia) e, soprattutto, che c) sia espressamente previsto il divieto di formare nuovi gruppi durante la legislatura (come in Austria e Spagna). Tali modifiche non solo ci renderebbe maggiormente europei, ma soprattutto scongiurerebbe l’inevitabile parallelismo tra la sempre minore credibilità della politica e la sempre maggiore debolezza della collettività.